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Sviluppo del territorio attraverso il Patrimonio Culturale

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Bocca delle Menate


Le indagini archeologiche raccontate passo dopo passo.

Il Laboratorio archeologico di UNIFE ha svolto delle indagini non invasive sul sito di Bocca delle Menate a Comacchio, all’interno delle progettualità promosse dal Comune per il progetto Value Interreg.
La presenza di resti di una villa romana è testimoniata dalle tracce archeologiche portate alla luce dagli scavi eseguiti negli anni Cinquanta. Oggi l’area in cui è stata rinvenuta la villa è un campo agricolo coltivato, dove il passaggio di macchinari agricoli, che ciclicamente riportano in superficie materiali di interesse archeologico, periodicamente mettono a rischio la conservazione del sito. Nell’urgenza di verificare lo stato di conservazione della villa romana, sono state condotte una serie di indagini preventive per limitare un’ulteriore perdita di dati archeologici
Ad aprile 2021 per la durata di due settimane un gruppo di docenti, ricercatori e ricercatrici, studenti e studentesse ha svolto indagini non invasive nell’area.


Quali sono i metodi e le attrezzature utilizzate dall’équipe archeologica?

La figura dell’archeologo è costantemente accompagnata nell’immaginario comune da un pennellino o da una scopetta. Ma, quanto di reale c’è in questa rappresentazione? Gli studenti coinvolti durante la fase di indagine archeologica presso il sito di Bocca delle Menate hanno ricevuto un elenco completo e dettagliato di tutta l’attrezzatura necessaria per poter svolgere le attività sul campo. Volete sapere quali sono? Guardate il nostro gruppo equipaggiato e pronto a partire.


Cosa sono le indagini non invasive?

Indossati gli abiti da lavoro l’equipe è stata impegnata in una serie di indagini non invasive, anche dette indagini preventive o preliminari, che prevedono l’uso di tecniche non distruttive (a differenza dello scavo stratigrafico) per verificare la presenza e lo stato di conservazione di un sito archeologico. Queste sono state applicate a tre livelli di osservazione terrestre: aerea, tramite drone; autoptica, tramite camminamenti e osservazione diretta del suolo (ricognizione archeologica); geofisica, grazie agli strumenti che scorrendo sulla superficie del terreno sono in grado di scandagliare i depositi alla ricerca di anomalie che rivelino la presenza di manufatti e strutture.


Fotogrammetria con drone

Prima che si svolgesse qualsiasi attività si è fatto volare un drone per tre volte per una durata di 15 minuti ciascuna e sono state raccolte centinaia di fotografie che hanno permesso di realizzare una cartografia aggiornata dell’area, ottenendo misure e annotando dettagli altrimenti non percepibili da terra, grazie al metodo di rilievo fotogrammetrico.


Ricognizione di superficie

Le attività sul campo sono iniziate con la ricognizione di superficie, una metodologia non invasiva che consiste nel percorrere a piedi porzioni di territorio osservando il terreno alla ricerca di tracce, architetture e manufatti che testimoniano la presenza di siti delle culture umane del passato. Per poter svolgere le ricognizioni i partecipanti si sono allineati a distanza regolare percorrendo l’area di interesse per fasce parallele. Durante la ricognizione archeologica, grazie ad una app ideata per il lavoro sul campo, il sistema GIS connesso ha raccolto tutti i dati legati ai ritrovamenti (posizione, foto, descrizione). Gli studenti attraverso l’app hanno condiviso il loro lavoro con quello svolto contemporaneamente da tutti gli altri operatori creando un database e una mappa dettagliata dei rinvenimenti per gli archivi della soprintendenza archeologica.


Indagini geofisiche

Come le lastre e le radiografie per il corpo umano, in geofisica si utilizzano metodi di indagine di tipo indiretto per evidenziare la presenza di corpi o strutture nel sottosuolo attraverso il rilevamento di una serie di anomalie (misura delle variazioni di alcuni parametri fisici nel sottosuolo). Nella fase di indagini geofisiche sono state utilizzate tre tecniche: il metodo geomagnetico, per osservare le variazioni locali del campo magnetico terrestre causate dalla presenza di particolari strutture archeologiche sepolte; il metodo elettromagnetico, che riguarda la distribuzione della conducibilità elettrica del sottosuolo, strettamente connessa alle caratteristiche dei sedimenti e dei depositi; e il metodo del georadar, che fornisce informazioni sulla forma delle strutture sepolte. Tali tecniche permettono di “scoprire senza scavare” indizi estremamente utili alla ricerca archeologica sulla presenza di depositi e edifici sepolti.


E dopo il lavoro sul campo?

Terminate le attività sul campo Il gruppo di lavoro ha continuato gli studi e le indagini presso i laboratori del Museo del Delta Antico di Comacchio. Il materiale ritrovato, tra cui frammenti di ceramica, intonaci dipinti, laterizi bollati, materiali lapidei e vetri, è stato raccolto e analizzato in diversi laboratori. I reperti sono stati lavati con acqua, divisi per tipo di materiale e giorni di ritrovamento, classificati e siglati con un codice univoco di identificazione.
A seconda del loro materiale i laboratori hanno previsto: una prima attività di restauro per i delicatissimi frammenti di intonaco riccamente dipinto; la classificazione e il disegno delle ceramiche e degli oggetti in uso nelle attività quotidiane e sulle mense degli abitanti della villa; i frammenti di marmi provenienti da tutto il mediterraneo che decoravano le pareti di stanze e spazi della villa sono stati rilevati in 3D per la ricostruzione degli apparati decorativi; lo studio dei bolli impressi sulle tegole ritrovate ha animato le attività del laboratorio epigrafico alla ricerca dei nomi delle personalità di spicco della produzione nel territorio; un approfondimento è stato dedicato alle indagini archeometriche e cioè alle caratteristiche fisiche sui materiali da cui gli oggetti vengono trasformati, per conoscere le innumerevoli relazioni e interazioni tra l’uomo, il paesaggio e le sue risorse.

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